Contratto di affitto nullo? I canoni devono essere restituiti.
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La liquidazione controllata è una di quelle misure previste dal Codice della Crisi di Impresa per favorire e agevolare il successo della composizione della crisi da sovraindebitamento volte alla liquidazione del patrimonio del debitore.
Possono ricorrere alla liquidazione controllata tutti coloro che si trovino in condizione di sovraindebitamento (cioè che non siano in grado di far fronte alle proprie obbligazioni): consumatori persone fisiche, professionisti, imprese agricole, start-up innovative e, in generale, a tutti ai debitori che non sono assoggettabili a liquidazione giudiziale o alle altre procedure previste nel caso di crisi o insolvenza.
La finalità della procedura di liquidazione controllata è quella di liquidare, cioè vendere, tutto il patrimonio del debitore per destinare il ricavato al pagamento di tutti i creditori, nonché consentire al debitore di ottenere l’esdebitazione, una volta chiusa la procedura o comunque decorsi tre anni.
L’apertura della liquidazione controllata comporta la totale spoliazione del debitore del proprio patrimonio, che passa sotto la gestione di un organo terzo e tecnico, incaricato di liquidarlo nell’interesse di tutti i creditori.
Come già dicevo in questo articolo, la liquidazione controllata ha natura concorsuale (nel senso che si svolge nell’interesse di tutti i creditori) e, al di fuori di certe esclusioni, ha comunque carattere universale riguardando tutti i beni presenti e futuri del debitore. Quest’ultimo aspetto è quanto previsto dall’art. 2740 del codice civile secondo cui il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Coerentemente a questo principio, dunque, è possibile ricorrere alla liquidazione controllata anche in assenza di beni iniziali ma solo sulla base dell’apporto di beni futuri. È questo il principio stabilito da una recente sentenza della Corte di Appello di Torino del 27 agosto 2024, la Corte di Appello di Torino, la quale ha confermato l’ammissibilità della procedura di liquidazione controllata anche in presenza di un unico creditore e “senza beni” presenti, ma con la semplice attestazione di crediti futuri (ndr: nel caso esaminato dalla sentenza si trattava di redditi futuri).
Nello stesso senso si era espresso in precedenza anche il Tribunale di Mantova, (sentenza n. 64 del 15 dicembre 2023), secondo cui il fatto che il sovraindebitato possa disporre del solo stipendio derivante dalla propria attività lavorativa (o della pensione) non osta all’apertura della procedura di liquidazione controllata.
In tal caso spetterà al giudice delegato stabilire, con successivo decreto su istanza del debitore ed alla luce del parere del liquidatore, quale parte del reddito sia necessaria al mantenimento del debitore e della sua famiglia e quindi esclusa dalla liquidazione.
Ormai da tempo, anche in linea con le indicazioni europee ed internazionali in genere, vi è una nuova sensibilità nei confronti delle situazioni di default, che non devono più essere trattate non secondo una visione meramente sanzionatoria, ma piuttosto come momenti di risanamento, di ripartenza (la c.d. “fresh start”) per una “seconda opportunità” di reinserimento dei soggetti in difficoltà nel tessuto economico.
È in questo contesto che si inserisce l’istituto dell’esdebitazione, momento conclusivo (anche) della procedura di liquidazione controllata. L’esdebitazione è quel particolare meccanismo che rende inesigibili i debiti, come se venissero “congelati” per sempre e per i quali il creditore non potrà più richiederne il pagamento.
L’art. 282 del Codice della Crisi di Impresa disciplina l’esdebitazione nell’ambito della liquidazione controllata, e stabilisce che essa opera di diritto (cioè senza necessità di una specifica richiesta e istanza) alla chiusura della procedura o, se questa supera i 3 anni, allo scadere del terzo anno.
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