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Finanziaria 2026, TFR, fondi pensione e pignoramento

La Finanziaria 2026 introduce alcune novità in materia di Trattamento di Fine Rapporto e fondi pensione, anche con importanti conseguenze per quanto riguarda la “protezione patrimoniale” del TFR.

Le novità riguardano, in particolare e come si dirà tra poco, di una estensione del regime di silenzio-assenso relativo al conferimento nei fondi pensione delle somme accantonate come TFR durante il rapporto di lavoro.

La volontà del legislatore è quella di incrementare e favorire il ricorso al risparmio previdenziale privato, così da garantire minori pressioni future sulla spesa pensionistica pubblica (ndr: per un approfondimento su questo aspetto, segnalo questo articolo pubblicato dall’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani).

Esaminiamo le novità e quale sarà il loro impatto anche per quanto riguarda le procedure di pignoramento ed esecutive in genere sulla pensione e sul TFR.

“La miglior politica finanziaria è spendere il meno possibile; la miglior tassa è sempre la più leggera.” – Jean-Baptiste Say

Finanziaria 2026 e silenzio assenso sul TFR

Con il progressivo aumento dell’età media della popolazione italiana e un progressivo squilibrio tra popolazione attiva e popolazione pensionata, il sistema pensionistico pubblico è da tempo sottoposto a crescenti pressioni in termini di sostenibilità finanziaria.

Questa dinamica demografica, aggravata anche dal calo della natalità e dall’allungamento delle aspettative di vita, richiede una riflessione strutturale sul ruolo della previdenza pubblica e sulla necessità di affiancarle strumenti di previdenza complementare capaci di integrare il reddito pensionistico futuro.

È in questo contesto che si inserisce la modifica del sistema del “silenzio-assenso pensionistico” previsto dalla Manovra finanziaria in via di approvazione.

 

Il regime attuale

Sulla base delle attuali regole in vigore, il lavoratore alla prima assunzione ha sei mesi di tempo per comunicare all’azienda (compilando il modello TFR2) se intende lasciare il TFR, ossia gli accantonamenti per la liquidazione, in azienda o conferirlo a una forma di previdenza complementare.

In mancanza di scelta opera già un tacito conferimento: il TFR che maturerà sarà versato nel fondo pensione collettivo previsto dal contratto o, in mancanza, al fondo individuato come destinazione residuale.

 

Le novità previste nella Legge di Bilancio

Nella finanziaria 2026 si prevede l’introduzione di un periodo di sei mesi di silenzio‑assenso generalizzato, esteso anche ai lavoratori già in forza, non solo ai neoassunti per favorire il conferimento del TFR ai fondi pensione.

A partire dal 1° luglio 2026 per i lavoratori dipendenti del settore privato (esclusi i lavoratori domestici) assunti per la prima volta il TFR finirà automaticamente al fondo di previdenza integrativa individuato dai contratti collettivi di lavoro.

Questo automatismo, però, non scatterà se, entro 60 giorni, il lavoratore rinuncerà espressamente a questo conferimento, scegliendo invece di versarlo ad un’altra forma di previdenza complementare dallo stesso liberamente prescelta oppure di mantenerlo nel regime ordinario di TFR (cioè di lasciarlo in azienda).
La scelta di mantenere il TFR in azienda non sarà definitiva, potendo essere successivamente revocata con la decisione di aderire ad un fondo, mentre, una volta effettuato, il conferimento del TFR alla previdenza integrativa è irreversibile.

TFR, fondi pensione e (protezione dai) pignoramenti

Un argomento sempre caldo quando si parla di TFR e di pensioni riguarda la possibilità o meno che queste somme vengano pignorate da un creditore. A questo indirizzo trovate un mio approfondimento sull’argomento, ma qui tratterò, invece, della questione relativa alla protezione offerta dai fondi pensione.

In linea generale e come si vedrà tra poco, il TFR conferito ai fondi pensione gode di una tutela rafforzata rispetto al TFR lasciato in azienda, risultando di norma non pignorabile. La questione, però, cambia nel momento in cui il TFR fuoriesce dal fondo, ossia quando si trasforma in prestazione (rendita o capitale), diventando così aggredibile dai creditori ma comunque nei limiti previsti per pensioni e trattamenti assimilati.

 

Inquadramento normativo

La regola di fondo è data dall’art. 545 c.p.c., che disciplina i crediti impignorabili e i limiti di pignorabilità delle indennità da lavoro, includendo anche il TFR tra le somme pignorabili entro il limite del quinto, salvo crediti alimentari.
Per le forme pensionistiche complementari interviene inoltre l’art. 11 del D.Lgs. 252/2005 che prevede l’intangibilità delle posizioni individuali nei fondi pensione, richiamando, in fase di erogazione, il regime di pignorabilità previsto per le pensioni obbligatorie.

Nel caso in cui il lavoratore non abbia deciso di conferire il TFR in un fondo pensione e quindi resta accantonato presso il datore di lavoro, questa somma, che matura e cresce durante il rapporto di lavoro, integra un credito certo e liquido del lavoratore.

In questa situazione il TFR può essere pignorato, nel limite di un quinto del suo ammontare, in quanto indennità connessa al rapporto di lavoro. Come hanno chiarito le sentenze sulla questione, questa regola vale sia per il TFR maturato e non ancora corrisposto sia per quello divenuto esigibile alla cessazione del rapporto.

 

TFR conferito ai fondi pensione

Diversa è la posizione del TFR confluito in un fondo di previdenza complementare: finché le somme restano nella “posizione individuale” dell’aderente, esse non sono aggredibili dai creditori in forza dell’intangibilità delle posizioni nei fondi pensione (analogamente a quanto previsto dall’art. 1923 c.c. sull’impignorabilità delle assicurazioni sulla vita e) in virtù dell’art. 11 d.lgs. 252/2005.

La dottrina e la prassi sottolineano infatti che la funzione previdenziale di lungo periodo giustifica un regime di impignorabilità tendenzialmente assoluta in fase di accumulo (cioè durante il periodo lavorativo), proprio per evitare che esigenze esecutive comprimano la finalità protettiva della previdenza complementare.

La Cassazione ha stabilito che le posizioni nei fondi di previdenza complementare restano non pignorabili anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro, finché non vengono riscattate o trasformate in prestazione, ribadendo la natura previdenziale e non meramente creditizia di tali somme.

In altre pronunce è stato riconosciuto che, una volta erogata la prestazione (in capitale o rendita), la stessa diviene pignorabile nei limiti di un quinto, con applicazione, in via analogica, del regime di pignorabilità previsto per le pensioni e per le ulteriori indennità da lavoro.

Momento della pignorabilità del TFR e profili pratici

In virtù di quanto detto sino ad ora, dal punto di vista del possibile pignoramento del TFR, sul piano operativo la distinzione cruciale è tra fase di accumulo nel fondo e la fase di erogazione:

  • finché il TFR è “posizione individuale” nel fondo pensione, il creditore non può validamente pignorarla, né presso il datore di lavoro né direttamente presso il fondo.
  • dal momento in cui il TFR viene liquidato dal fondo come capitale o tradotto in rendita, la somma diviene assoggettabile a pignoramento entro il quinto, con le medesime cautele previste per pensioni e stipendi, sulla base dell’art. 545 c.p.c. e degli orientamenti consolidati della Cassazione.

In sintesi: per il debitore-lavoratore, il conferimento del TFR al fondo pensione offre quindi una protezione significativa contro l’aggressione dei creditori nella fase di accumulo, cioè durante il periodo lavorativo, ma non garantisce un’immunità assoluta.

Al termine del rapporto di lavoro, il TFR “esce” dal fondo e diventa una prestazione esigibile, cioè deve essere pagato al lavoratore, rientrando però nel circuito dei crediti pignorabili, sia pure entro limiti rigorosi a tutela della dignità e del sostentamento dell’aderente.

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