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Il fondo patrimoniale rappresenta, forse, uno tra gli strumenti più semplici nella struttura e nell’utilizzo per le esigenze di pianificazione e di protezione familiare e patrimoniale.
Ciò nonostante, un utilizzo del fondo non conforme e per finalità differenti da quelle previste dalle norme può portare a risultati dannosi.
La Cassazione interviene con una recente pronuncia sul tema per chiarirne ancora una volta i confini applicativi.
Il fondo patrimoniale rientra tra le convenzioni matrimoniali, ossia quegli accordi tra i coniugi per regolare i loro rapporti patrimoniali. Le regole previste per il fondo patrimoniale stabiliscono che ciascuno o entrambi i coniugi o anche un terzo possono destinare determinati beni mobili o immobili per far fronte ai bisogni della famiglia.
Attraverso il fondo patrimoniale i beneficiari, cioè i membri della famiglia, – nel senso di cui dirò meglio tra poco -, acquistano una semplice aspettativa di fatto relativamente ai proventi del fondo e alla destinazione finale dei beni.
Dalla costituzione del fondo, però, deriva anche un effetto ulteriore e del tutto particolare, ossia l’effetto segretativo: i beni vincolati nel fondo patrimoniale, infatti, possono essere espropriati solo dai creditori “familiari”, ossia da coloro che abbiano un credito derivante da prestazioni inerenti la vita familiare.
Detta al contrario, grazie all’effetto segretativo l’esecuzione sui beni del fondo non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni di famiglia.
Nel tempo, poi, diverse sentenze hanno dato un’interpretazione estensiva delle norme dettate in materia di fondo patrimoniale.
Secondo la giurisprudenza, infatti, rientrano nella categoria dei bisogni della famiglia, oltre alle necessità di carattere strettamente biologico, anche quelle di carattere sociale, volte al pieno mantenimento e allo sviluppo armonico della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, e anche un debito di natura tributaria può far parte del novero di quelli contratti per far fronte ai bisogni della famiglia.
È facile capire che proprio l’effetto segretativo, – anziché essere un corollario del soddisfacimento dei bisogni della famiglia -, è diventato nei fatti la caratteristica preferita da chi intende porre al riparo i beni familiari, sottraendoli così a possibili azioni esecutive da parte di terzi.
Una recente sentenza della Cassazione, n. 27792/2024, ha affrontato il tema del fondo patrimoniale, mettendone in luce i confini applicativi sulla base delle caratteristiche viste sopra.
Innanzitutto, il concetto di famiglia. Il fondo patrimoniale può essere costituito a favore di tutti i componenti della famiglia fondata sul matrimonio o sull’unione civile (ex art.1, comma 13, l.76/2016). Secondo la Cassazione, poi, la norma non si riferisce alla cosiddetta famiglia «parentale» bensì alla famiglia «nucleare», in cui sono compresi i figli, minori e maggiorenni, ancora a carico dei genitori e non autonomi patrimonialmente, nonché gli affiliati e i minori in affidamento temporaneo.
Nel caso esaminato nella sentenza, il fondo patrimoniale era stato costituito dai genitori della ex convivente, ma senza alcun riferimento alla figlia minore (nata dalla relazione tra i due ex conviventi) e, dunque, era da escludere che esso fosse stato costituito per far fronte ai bisogni «della famiglia» della donna, considerato che le altre parti coinvolte erano unicamente i suoi genitori.
Inoltre, poiché il riferimento era ai bisogni della famiglia, senza altra precisazione, l’unica famiglia risultante dall’atto era quella rappresentata dai genitori della donna separata e da lei stessa.
Tuttavia, proprio in considerazione del concetto di famiglia nucleare di cui sopra, l’aver allargato a soggetti terzi l’utilizzo del fondo patrimoniale, rappresenta un uso distorto dello stesso e quindi nullo.
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